Rosencrantz e Guildenstern sono morti
di Tom Stoppard
con Stefano Braschi, Franco Palmieri, Carlo Ottolini, scene e costumi Emanuela Pischedda, luci Chicco Bagnoli, musiche Alessandro Nidi, regia Letizia Quintavalla e Bruno Stori
Tre attori in scena e altrettante ombre proiettate a schermo conversano sul palco come fossero tutti uomini in carne ed ossa. E’ così che lo spettacolo Rosencratz e Guildestern sono morti incontra l’omonimo film sotto il nome di Stoppard: ne nasce una tragicommedia in cui a Rosencratz e Guildestern, personaggi minori dell’Amleto, viene concessa una seconda vita, durante la quale non solo è dato loro l’onore di essere finalmente protagonisti, ma pure l’opportunità di aiutare Amleto stesso.
Sono il Re e la Regina di Danimarca ad ordinare loro di trovare il principe. Compito loro sarà indagare cosa lo affligga e riportarlo in patria. Tutto procede per il meglio, fino a che una lettera sigillata comanda l’uccisione di Amleto una volta arrivato in patria. I due decidono di non farne parola con il principe lasciando che gli eventi seguano il loro corso: la sua morte forse è inevitabile, conclude Guildestern.
Ma Amleto riesce a fuggire sostituendo la lettera: a questo punto i soggetti condannati a morte risultano essere Rosencratz e Guildestern stessi che, arrivati in Inghilterra, vengono immediatamente impiccati. Fedelmente ai loro destini originari: «Rosencratz e Guildestern sono morti».
Amaro ripensare all’inizio di quello che avrebbe dovuto essere il “loro Amleto”: lo spettacolo era iniziato con il continuo lancio di una moneta. Testa o croce? Immancabilmente era stata la testa ad avere la meglio. «Ci deve essere qualcosa di sbagliato nella realtà», aveva concluso Rosencratz.
Stupisce che al caro Rosencratz in quel momento non fosse passato per la testa come non tutte le cose possano essere modificate. E a malincuore ci tocca dare ragione al capocomico tragico che durante lo spettacolo continua a ricordarci come tutto debba finire con la morte. Alla luce della lunga esperienza nel tragico, lo sa e non si stancherà mai di ripeterlo: «Tutti gli attori sono [infine] destinati alla morte».
Foto e articolo: Camilla Cerea