Blaubart Blue: la condanna della solitudine

Lo spettacolo è una libera interpretazione dell’unica opera composta da Béla Bartók Il castello del duca Barbablù con il libretto di Béla Balázs, che rispetta però la partitura originale.
Sul palco va in scena l’inquietudine, la vera protagonista. Quella dell’anima di Barbablù, così tormentata perché conosce la propria natura sinistra, e quella della sua giovane sposa Judit, mossa dalla convinzione di poterlo cambiare con il suo amore.
Lo spettacolo è un passo a due tra Barbablù e Judit: Barbablù cerca di resistere alle tentazioni della giovane, che insiste nel suo desiderio di sapere cosa si nasconde dietro le sette porte del castello del marito. Lui cerca di farla desistere. Sapere significa condannarla. Lei non capisce, lei insiste. Alla fine però, l’uomo cede. Nascosto sotto il suo abito, Barbablù tiene legata al collo la chiave che apre le sette porte. Dietro quelle porte stanno tutti i segreti della sua anima.
Da quel momento è un crescendo di tensione. Le sette porte nascondono sette stanze, rappresentate da altrettante ballerine che interagiscono con Judit solo nel momento in cui vengo “aperte”. Barbablù segue in disparte, sconfitto. Le porte vengono aperte una dopo l’altra, e appaiono presenze agghiacianti.
Judit arriva infine all’ultima porta, la settima, quella dove secondo lei si nascondono i cadaveri delle mogli passate di Barbablù; nonostante la macabra intuizione, è sempre più decisa ad aprire l’ultima porta. Le appaiono dinnanzi le tre donne, vive. Sono quelle che le fanno capire la natura del suo sposo. Anche lei sarà come loro; diventerà parte della solitudine di Barbablù. Siamo all’atto finale. Per entrambi.
Ecco qual è la condanna per aver voluto sapere a tutti i costi. Judit viene trascinata via dal suo sposo, condannata in quel castello, dove i muri lacrimano ed ogni cosa è cosparsa di sangue; l’amore che guidava Judit è stato inghiottito dall’immensa solitudine di Barbablù.
É un finale amaro. Forse se Judit avesse ascoltato Barbablù e non avesse insistito nel voler aprire le porte, il loro amore sarebbe potuto sopravvivere. Probabilmente no. E’ solo un’illusione. Forse Judit non esiste nemmeno, come non sono esistono le altre mogli. Le mogli potrebbero essere sempre e solo Barbablù, rappresentazioni della sua lunga, solitaria e condannata esistenza. In quel grande, lugubre e orrendo castello, Barbablù non ha mai conosciuto altri che se stesso. E può essere terribile.
Barbablù:
“Judit, devi amarmi,
qualsiasi cosa vedessi
non fare domande”.
Per maggiori informazioni: Compagnia DEOS
Lo spettacolo è andato in scena dal 14 al 16 gennaio 2016 presso il Teatro dell’Archivolto di Genova.Una produzione DEOS, Danse Ensemble Opera Studio, Compagnia di danza contemporanea | Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova | Coreografia di Giovanni Di Cicco | Musiche di Béla Bartok | Libretto di Béla Balázs | Interpreti: Angela Babuin, Cristina Banchetti, Emanuela Bonora, Melissa Cosseta, Giovanni Di Cicco, Maria Francesca Guerra, Barbara Innocenti, Erika Melli